Recuperare terreni, mantenerli in ottimo stato e possibilmente coltivarli per ottenere indietro, in cambio di cura e amore, i frutti della terra. Un modo per riavvicinare i cittadini al Verde, ricongiungendoli con la natura attraverso una pratica fin troppe volte denigrata e privata del suo valore distensivo e terapeutico: l’agricoltura. Vivaitaliani ha intervistato il responsabile nazionale della campagna ‘Orti Urbani’ Evaristo Petrocchi, che senza troppi giri di parole rilancia: “bisogna smettere di pensare che l’orto sia destinato soltanto agli over 65 e ai pensionati. L’orto ci mette in contatto con la terra, ci fa respirare, ci allontana da ritmi frenetici e devastanti e reinserisce il cittadino in un ambiente a misura d’uomo”.

“Chi apprezza l’orto vuol dire che continua a riconoscere l’importanza della sostanza delle cose rispetto alla mera ‘virtualità’. Un pomodoro dell’orto è ‘sostanza’, al contrario di un ortaggio o di un legume conservato in buste di plastica tanto da apparire simile ad un prodotto artificiale. Oggi, con l’applicazione del famoso ed antichissimo detto ora et labora benedettino, possiamo contribuire a realizzare quella corsa alla green economy di cui abbiamo tanto bisogno”.

Come nasce l’idea Tutto nasce dall’esigenza di tutelare terreni agricoli e spazi verdi non più in chiave negativa, ovvero attraverso i divieti, ma responsabilizzando i cittadini coinvolgendoli in maniera attiva nella cura degli appezzamenti.

I territori lasciati a se stessi sono le future vittime della speculazione. Riappropriarsi di essi e dare loro una seconda vita, concilia esattamente due esigenze: evitare il degrado e tenere lontana la speculazione, che si annida laddove c’è l’ abbandono

Anci e Italia Nostra, l’unione fa la forza L’associazione dei Comuni italiani è fondamentale nella scelta dei territori. È stato sottoscritto un protocollo d’intesa, al quale hanno poi aderito Coldiretti e la Fondazione di Campagna Amica, per definire modalità simili in tutto il Paese (partendo dalle linee guida elaborate dalla Facoltà di Agraria dell’Università di Perugia) di come “impiantare” o conservare un “orto”, che va inteso nel senso di parco “culturale”, teso a recuperare specie in via di estinzione ma anche a coltivare prodotti di uso comune con metodologie scientifiche.

Orti intesi come parchi culturali, per una natura che unisce Gli spazi assegnati dal Comune e/o dai privati a gruppi di persone e piccole cooperative sono rigorosamente aperti. Oltre a chi materialmente coltiva i campi può accedervi infatti chiunque. Si possono fare delle passeggiate, leggere i quotidiani oppure un romanzo e creare occasioni di incontri e dibattiti. È degli ultimi tempi la tendenza a sfruttare questi orti anche per fini terapeutici e psicologici “perché -come sottolinea Petrocchi- il contatto con la natura affievolisce le profonde inquietudini figlie del nostro tempo”.

Finché ci saranno essere umani che cercano di rinnovare un dialogo con la natura, ci saranno veri giardini, e quindi una speranza. Sopravvivranno come luoghi di dissenso. Non hanno già adesso questo ruolo, che non avrebbero mai pensato di dover sostenere? Il giardino non è mai perduto. Così, essendo troppo vecchio per credere nelle rivoluzioni, non avendo mai avuto gusto per i manifesti politici, io non raccomando che una forma di ribellione: il giardinaggio” Jorn de Precy.

 

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