Dalla profumata pianta della vaniglia (Vanilla planifolia) al grande baobab (Adansonia digitata), dal noto e molto utilizzato hennè (Lawsonia inermis) alla curiosa Welwitschia mirabilis del deserto del Kalahari passando per il pompelmo, il chinotto e il bergamotto: ci sono le piante ma anche i colori, gli odori e i sapori dei cinque continenti racchiusi nel centro storico di Padova.

Il primo giardino botanico universitario del mondo sceglie di continuare così una tradizione di ricerca sulle specie vegetali iniziata nel lontano 1545. E i numeri dell’operazione sono da record: la superficie a disposizione delle piante e del pubblico aumenta di circa il 70%, passando da 22.000 a 37.000 metri quadri. E più di 1.300 specie rare sono accolte nelle cinque grandi nuove serre realizzate ad altissima tecnologia aggiungendosi alle 6.000 già presenti nel giardino cinquecentesco.

Oltre 20 milioni di euro in buona parte provenienti dal bilancio dell’Università – spiega Giuseppe Zaccaria, rettore dell’ateneo padovano – sono stati investiti in un’opera destinata a costituire un esempio a livello europeo per questo tipo di interventi. Il primo nostro scopo è infatti quello di contribuire a studiare e a preservare la biodiversità. Un compito fondamentale non solo per la comunità scientifica ma, viene da aggiungere, per l’umanità intera. Appena il 10% delle specie vegetali presenti sulla Terra viene studiato dall’uomo, mentre ogni giorno nel nostro Pianeta continuano a scomparire centinaia di specie viventi, molte delle quali resteranno sconosciute. Un patrimonio enorme, che la nostra specie rischia di dilapidare“.

Il Giardino della biodiversità è un viaggio nel pianeta attraverso le forme di vita vegetali: dalle aree tropicali alle zone subumide, dalle zone temperate a quelle aride per rendere visibile il patrimonio di biodiversità che ogni angolo della Terra custodisce, dal più ricco al più povero, dal più protetto al più minacciato. Oltre alle piante pannelli informativi, filmati, exhibit interattivi, reperti raccontano come l’intelligenza vegetale e l’intelligenza umana abbiano svolto un comune percorso di coevoluzione da Lucy sino ad oggi. E ovviamente le nuove tecnologie con cui la visita inizia prima dell’arrivo nell’Orto e può continuare anche una volta usciti dai suoi cancelli. “Il rigore scientifico – garantisce Zaccaria – è assoluto, ma anche lo spettacolo della natura fa la sua parte, offrendo ai visitatori, a tutti i visitatori e non solo a specialisti o addetti ai lavori, una opportunità che non si trova altrove“.

(Fonte: Ansa)

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